L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha riconosciuto la salute sessuale come uno dei diritti umani, definendolo un aspetto centrale per ogni essere umano durante la tutta la propria vita.
La sessualità comprende: sesso, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale, piacere, intimità, erotismo e riproduzione, ed è influenzata da moltissimi fattori biologici, sociali, culturali, etici, religiosi, spirituali, psicologici.
Insomma, un qualcosa di naturale che riguarda ogni individuo, ma quando si parla di disabili e sessualità, ancora oggi, lo si fa con reticenza e con tanti tabù.
Infatti, spesso, la sessualità per le persone con disabilità viene ridimensionata alle sole pratiche di igiene personale o funzioni corporee.
Sessualità e disabilità: i tabù
Bambini, adolescenti e adulti disabili sono rappresentati, nell’immaginario comune, come soggetti asessuati, disinteressati alla sessualità e al piacere, ma non è così.
Pensando allo sviluppo sessuale inteso come compito evolutivo che fa parte della formazione identitaria delle persone e della socializzazione con altri individui, è inevitabile non pensare alle conseguenze che la negazione del sesso possa portare sul piano fisico e psicologico delle persone con disabilità.
Lo sviluppo sessuale nei disabili si scontra con diverse barriere che impediscono lo sviluppo in generale nella persona, portando quest’ultima a un disagio emotivo e psicologico importante.
Le barriere strutturali riguardano politiche e norme che limitano l’accesso delle persone con disabilità all’espressione della propria sessualità, anche quando svolta in modo consapevole e responsabile.
Nelle scuole, ad esempio, i bambini e adolescenti con disabilità hanno meno interazioni con i coetanei rispetto ai loro compagni con sviluppo tipico, con conseguente difficoltà a sperimentare legami emotivi e fisici.
Questa problematica si aggrava in ambienti istituzionalizzati, dove il controllo comportamentale limita ulteriormente le possibilità di socializzazione, contribuendo all’isolamento emotivo.
Le barriere attitudinali, invece, riguardano atteggiamenti di familiari e operatori che negano l’esistenza delle esigenze sessuali delle persone con disabilità, trattandole come qualcosa di perversa e disturbante. Tale atteggiamento porta a una strategia di negazione ed evitamento della questione, creando disagio non per la persona disabile, ma per chi si occupa di loro, che percepisce la sessualità come problematica o inappropriata.
L’assistente sessuale per disabili
In Paesi come Olanda, Germania, Svizzera e Danimarca è presente la figura dell’assistente sessuale, legalmente riconosciuta da 30 anni. Si tratta di un operatore che aiuta il disabile durante il percorso verso la sessualità, dando supporto emotivo, psicologico e anche sessuale.
In Italia, nel 2014, fu proposto un disegno di legge che però suscitò molte polemiche da parte dei cattolici e dei gruppi di femministe, che ritenevano il testo non chiaro e confusionario circa la differenza tra assistenza sessuale e prostituzione.
Purtroppo, non ci sono state altre proposte sul tema ma solo dibattiti in cui si è riconosciuta l’importanza del diritto alla sessualità per i disabili, senza però fare atti legislativi concreti.
Disabili e sesso: cosa c’è da fare?
È evidente che anche per le persone con disabilità, come per chiunque altro, è importante ricevere un’educazione alla sessualità, e questo vuol dire fornire informazioni adeguate alla loro capacità di comprensione, in modo che possano capire meglio il proprio corpo e le emozioni.
Non si tratta solo di spiegare aspetti tecnici, ma di integrare queste conoscenze nel loro percorso di crescita. Per farlo, bisogna coinvolgere anche la famiglia, la scuola e la comunità, e lavorare insieme per abbattere le barriere sociale, ambientali e psicologiche che ostacolano lo sviluppo sessuale ed affettivo.