Alcuni ricercatori, in uno studio sulla popolazione nel nord dell’Inghilterra, hanno suggerito che l’esposizione ad un innesco persistente e di basso livello ambientale possa aver giocato un ruolo nello sviluppo di malattie epatiche autoimmuni nel suo interno. Lo studio ha riscontrato casi di colangite biliare primitiva, epatite autoimmune e colangite sclerosante primitiva in alcune regioni del nord-est dell’Inghilterra e del nord della Cumbria, suggerendo che un agente ambientale, o più agenti, potrebbe essere stato coinvolto.
Le malattie autoimmuni del fegato, come le altre citate sopra, sono malattie relativamente rare associate a morbilità significative. Queste condizioni colpiscono persone di tutte le età. La causa alla base di queste malattie autoimmuni del fegato non è completamente definita, sebbene sia stata proposta un’interazione tra una predisposizione genetica all’autoimmunità e fattori ambientali.
Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori di Newcastle nel nord dell’Inghilterra, supportato dal Centro di ricerca biomedica. Le aree con un numero di pazienti che presentava ognuna di queste tre condizioni superiori al previsto sono state trovate a circa 1-2 km, con cluster aggiuntivi per l’epatite autoimmune e la colangite sclerosante primitiva a circa 10 km e 7,5 km. Non vi è stato alcun segno di ulteriori pazienti diagnosticati, in un periodo di tempo particolare, che suggerisce che una tale infezione sia probabilmente associata allo sviluppo di queste malattie.
Ma l’esposizione all’ambiente esterno può avere un ruolo? A questo quesito ha risposto la dott.ssa Jessica Dyson, Docente Clinico associato presso l’Università di Newcastle e consulente di epatologia al Newcastle Hospitals: “Questo studio suggerisce che l’esposizione ad un agente ambientale persistente e di basso livello potrebbe aver giocato un ruolo nella patogenesi di tutte e tre le malattie autoimmuni del fegato che abbiamo studiato. Le distanze variabili sul cluster del picco aumentano la possibilità che diversi fattori ambientali contribuiscano a tutte e tre le malattie autoimmuni. In precedenti studi, sono stati considerati i serbatoi dell’acqua, i fattori di estrazione industriale del carbone o le tossine presenti in vari siti di smaltimento dei rifiuti. Sono in corso ulteriori lavori per cercare di identificare i fattori che potrebbero essere associati al clustering osservato nel nostro studio”.
“Questo studio è molto importante, dal momento che le malattie autoimmuni del fegato sono rare ma hanno una incidenza crescente in generale”, ha affermato il professor Marco Marzioni dell’Università Politecnica delle Marche, ad Ancona, e membro del consiglio di amministrazione del EASL (Associazione europea per lo studio del Fegato). “Tuttavia, i loro trigger sono ancora sconosciuti. Sono stati considerati alcuni fattori ambientali, ma finora non sono emersi dati certi. Lo studio che abbiamo presentato di recente ha quel necessario rigore scientifico per rafforzare l’idea che l’esposizione ambientale possa svolgere un ruolo importante nell’innescare alcune malattie autoimmuni del fegato”.