I tassi di aborto successivi alle diagnosi prenatali sulla sindrome di Down, l’anomalia cromosomica più comune, sono elevati: quasi il 100% in Islanda, il 98% in Danimarca, l’80-90% in Norvegia, il 90% nel Regno Unito e il 67% negli Stati Uniti. In tutta Europa, la legislazione sull’aborto viola i diritti basilari delle persone disabili.
Nell’ottobre 2017, il Comitato per i diritti delle persone con disabilità ha dichiarato che “le leggi che autorizzano esplicitamente l’aborto a causa di menomazione violano la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (Art. 4, 5, 8)”.
La giustificazione all’aborto di un bambino non nato è dettata dalla non corrispondenza a ciò che la società considera “sano” o “desiderabile”. Inoltre, influenza la percezione che si ha delle persone con disabilità, inviando un messaggio sbagliatissimo: i bambini non nati che hanno una potenziale disabilità non sono membri a pieno titolo della società civile, alla stregua di ogni altra persona. Pertanto, le disposizioni legali che consentono l’aborto sulla base della “disabilità” compromettono i diritti di questa categoria di persone.
In paesi come la Bulgaria, l’aborto può essere eseguito legalmente entro un limite di dodici settimane. Tuttavia, quando si presume che il bambino nascerà con una disabilità, il limite viene esteso a venti settimane.
Allo stesso modo, la legislazione polacca concede specificamente l’aborto quando l’opinione medica indica che il bambino potrebbe nascere con una disabilità, applicando periodi di tempo diversi a tali aborti. In Polonia, dal 2002 al 2016, il numero di aborti compiuti per legge è passato da 159 a 1.098, un aumento del 600%. Non è questo numero eccessivamente crescente a scioccare, ma i 1.042 aborti su 1.098, eseguiti perché il bambino era potenzialmente disabile, con oltre il 37% per la sola sindrome di Down.
La legislazione non è l’unica fonte che stigmatizza le persone con disabilità. Il comitato per i diritti delle persone disabili ha identificato le politiche di screening prenatale come potenzialmente discriminatorie nei confronti delle persone con disabilità non ancora nate, raccomandando agli Stati di “affrontare la stigmatizzazione attraverso moderne forme di discriminazione, come una politica di screening prenatale selettiva per la disabilità che va contro il riconoscimento del valore uguale di ogni persona”.
È importante che il Comitato continui a condannare l’aborto selettivo per motivi di disabilità nelle legislazioni e politiche nazionali in tutta Europa, poiché altre istituzioni si rifiutano di farlo. Tutti gli Stati membri e la stessa Unione europea hanno ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Mentre l’UE non ha competenza per regolamentare l’aborto, si è impegnata a proteggere e promuovere i diritti sostanziali sanciti dalla Convenzione, tra cui l’uguaglianza, la non discriminazione e il diritto alla vita.