E’ già stata definita storica la sentenza del Tribunale di Verbania tramite cui è stata disposta la condanna a due persone ree di aver offeso una donna affetta da acondroplasia. Il risarcimento danni, però, non è stato deciso solo a favore della donna disabile ma anche alle associazioni che si sono costituite parte civile in suo favore: un’offesa a una persona con disabilità, quindi, viene ritenuta un’offesa che non riguarda solo il soggetto destinatario ma anche tutte quelle persone che soffrono della sua stessa disabilità. A stabilirlo è stata appunto una recente sentenza del Tribunale di Verbania nell’ambito della quale la vittima è stata una donna affetta da acondroplasia, una patologia congenita di nanismo.
La persona offesa – così come riferisce l’associazione Ledha che si batte per i diritti delle persone disabili – è stata pesantemente insultata e presa in giro a causa della sua disabilità da due persone che hanno pubblicato tutta una serie di frasi offensive, diffamatorie e discriminatorie su Facebook. Il giudice ha condannato le due persone a 12 mesi di reclusione e a risarcire la vittima con un indennizzo economico, ma il vero punto di svolta sta nel fatto che il risarcimento non è stato disposto solo nei confronti del soggetto offeso, ma anche a favore di Ledha, Aisac e “Acondroplasia insieme per crescere”, ossia alle tre associazioni che insieme al soggetto offeso hanno deciso di costituirsi parti civile nell’ambito del processo (il valore complessivo della sanzione è di circa 50mila euro).
Soddisfatti i legali della vittima e i leader di spicco delle associazioni coinvolte. Giacinto Corace, avvocato difensore della donna offesa, ha parlato di una sentenza che “ci riempie di soddisfazione, perchè il giudice ha compreso la gravità estrema dei comportamenti tenuti dai due imputati”. Anche Gaetano De Luca, avvocato del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, ha parlato di una “sentenza molto importante” che finalmente “riconosce l’offesa a una singola persona con disabilità non solo alla ricorrente stessa, ma a tutte le altre persone affette da disabilità”. Il presidente di Aisac Marco Sessa si dice sicuramente soddisfatto anche se ammette che probabilmente accanto a una sanzione economica “sarebbe stata opportuna una sentenza più improntata sulla rieducazione, ad esempio condannando gli imputati allo svolgere lavori socialmente utili presso una delle nostre associazioni”.